Un Nuovo Abitare,
dopo il COVID - Salvatore Iaconesi

Designer, ingegnere robotico, artista e hacker link

Qual è il problema?

Il problema è che non stiamo in una crisi di salute pubblica, ma in una crisi di comunicazione, informazione, epistemologia.

Governi, media, scrittori e singoli individui hanno pensato che fosse una buona idea imporre questo continuo terrorismo fatto di tabelle di infettati, malati, morti, intubati, senza la minima preoccupazione per le implicazioni psicologiche, relazionali e sociali di questi dati, delle loro visualizzazioni, delle curve esponenziali, delle scale logaritmiche — in ogni angolo del nostro campo visivo e in ogni portata della nostra dieta comunicazionale.

Cosa si può fare se non essere schiacciati da tutti questi dati e dalle loro rappresentazioni? Dalle previsioni che stabiliscono e dall’ineluttabilità tecnica delle pratiche che definiscono?

Dobbiamo renderci conto che i dati e la computazione che serve per elaborarli sono ormai una componente esistenziale delle nostre vite, fanno parte della nostra nuova psicologia, delle nostre relazioni, della nostra vita. Non sono petrolio da estrarre: sono parte del nostro pensiero. Le tecnologie e le reti ci hanno già trasformato, e noi non abbiamo esperienza già più del mondo nello stesso modo.

Non abbiamo bisogno solo di soluzioni tecniche, ma di soluzioni esistenziali, di senso, di cultura, di estetica, di poesia, di poiesi.

Altrimenti ne usciremo molto male: magari non ci infetteremo (e non ne sono neanche tanto sicuro, nonostante quanti dati avremo, da Google, Facebook e gli altri operatori e social), ma ne usciremo distrutti psicologicamente, moralmente, filosoficamente e dal punto di vista della consapevolezza di quali siano le nostre libertà e i nostri diritti.

Questo non vuol dire che — come individui, coppie, famiglie, scuole, aziende, amanti, ragazzi, adulti, anziani… — non dobbiamo essere pronti a fare dei sacrifici, per affrontare una cosa che ci tocca tutti, in termini delle limitazioni temporanee a godere del mondo, se saranno necessarie.

Ma vuole assolutamente dire che dobbiamo trovare un senso. Nella Scienza e nella Tecnologia, facendole diventare parte della nostra psicologia, della nostra cultura. Abbiamo urgente bisogno di artisti, poeti, scrittori, musicisti, danzatori, teatranti, in stretta collaborazione con governi, istituzioni pubbliche e private, e aziende.

Attualmente non c’è senso. Non c’è sistema di coerenze, aderenze e appigli, fisici e concettuali, che ci permettano di costruire e trovare senso.

Questo, lo sappiamo, è il modo in cui si manifestano i fascismi, le dittature, le svolte autoritarie. Ma anche, semplicemente, tutto quello che va dal disagio psichico, a quello relazionale, su su, fino ad arrivare alla rivolta urbana e alla guerra civile.

Se ti abitui a fare cose che non hanno un senso, puoi abituarti a fare le peggiori atrocità.

È la tragedia.

E dalla tragedia si esce solo con l’agnizione: il riconoscere che si è in uno stato di tragedia, e il cambiamento di stato, di condizione seguente.

Sappiamo che è così.

L’unico modo di uscire dalla tragedia è il cambiamento di stato. È successo qualcosa — che sia la pandemia o il cambiamento climatico che arriva non fa differenza.

Bisogna riconoscerlo quando si rivela, accettarlo, e cambiare stato. Bisogna trarne un senso anche dove il senso non è possibile — come per la morte — e cambiare la modalità di vita, un Nuovo Abitare.

Il Nuovo Abitare

In una crisi di senso, fare questo è molto difficile.

Con mia moglie Oriana abbiamo fatto un pensiero.

Il lockdown.

Conosciamo già tante forme di lockdown. Ci sono il carcere, il manicomio, le istituzioni totali. Abbiamo imparato quali e quanti danni facciano.

Ma ce ne sono anche altre: il monastero, l’ascesi, la meditazione. Tutte quelle che aiutano a svuotarsi, per poi potersi riempire di nuovo.

Ci siamo sempre chiesti perché l’unica forma di lockdown posta da governi e istituzioni fosse del primo tipo, e nessuna del secondo.

Abbiamo, invece, pensato, che sarebbe stata un’occasione bellissima per raccogliersi, per stare un po’ in silenzo, in solitudine interconnessa alle altre, e trovare un nuovo senso.

Non è a caso che, col nostro nuovo centro di ricerca abbiamo fatto la prima esperienza di una cosa che abbiamo chiamato Data Meditation.

La Data Meditation è una nuova pratica/ritualità meditativa, che usa i dati per entrare in contatto — e, quindi, per acquisire una nuova sensibilità e una nuova forma di empatia — con i fenomeni complessi del nostro mondo.

Noi l’abbiamo fatta per la prima volta con una comunità internazionale da vari continenti, e i risultati li abbiamo esposti in due mostre: una a Trieste e una a Roma.

L’obiettivo era quello di entrare in contatto con questo periodo complesso che stiamo vivendo. Come stiamo? Come ci sentiamo? Fisicamente? Soli? Ansiosi? Impauriti? Desiderosi di cambiamento? Arrabbiati? Come? In quali contesti?

Ma l’obiettivo era anche quello di creare una nuova sensibilità attraverso i dati: come posso indossare i dati di un altro soggetto, in modo da poterne avere esperienza?

Ci ha pensato l’arte, in tutti i modi che i dati, da distanti, astratti, difficili da comprendere, schiaccianti, possono avvicinarsi ai nostri sensi diventando suoni, cose da guardare e da sentire sulla pelle.

Il tutto sempre tenendo ben presente che non si trattava di dati come tutti gli altri, che sono parte di processi estrattivi, elaborati nella separazione del laboratorio e inflitti al pubblico.

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No. In Data Meditations i dati sono trattati come espressioni autobiografiche del soggetto, come forme di autorappresentazione. E ne seguono le tutele, il ruolo nella cultura, le estetiche, le ritualità e le modalità.

Una comunità si mette d’accordo su come si vuole autorappresentare e lo fa.

Con l’arte, quindi, le mie espressioni/dati si trasformano in visual e suoni, così come quelle degli altri.

E io posso, per esempio, ascoltare i miei dati sull’orecchio sinistro e i dati di un Altro su quello destro. Posso percepire la differenza. Mi sveglio prima o dopo? Sono diversamente felice? Io sono ansioso e il mio Altro no? Siamo stanchi allo stesso modo.

Una nuova empatia.

Un Nuovo Abitare il mondo.

E dopo?

È stata una esperienza bellissima e molto forte ed efficace, a detta di tutti i partecipanti.

Soprattutto quando abbiamo realizzato che anche altri “soggetti” possono generare dati, ed esprimersi attraverso i dati: l’ambiente, le foreste, gli animali, le aziende, i team, le organizzazioni, le coppie, i condomini, i quartieri, le città.

Quando mai abbiamo potuto stabilire forme di nuove empatie con questi attori? Dei ponti?

La prossima Data Meditation la faremo, chissà, con una foresta, o con l’intera città di Torino in cui siamo da qualche giorno.

Per avere, insieme, un’esperienza di lockdown di un tipo completamente differente, meditativa, riflessiva, in cui si fa spazio per far entrare un po’ di Altri, con la delicatezza del silenzio, per capire ed entrare in contatto con il fenomeno meraviglioso che sono (e che possono essere) le nostre società.

La Data Meditation è un’opera d’Arte. Ma è anche un’azione di ricerca psicologica, sociale, antropologica, tecnologica, ingegneristica, organizzativa ed economica, in cui le Scienze si uniscono alla e nella Società, proprio attraverso l’Arte.

La Data Meditation è la prima cosa che stiamo chiamando apertamente un Rituale del Nuovo Abitare.

Questo processo lo stiamo facendo sistematicamente nella reinvenzione del nostro piccolo centro di ricerca, HER: She Loves Data.

Fra pochi giorni vi inviteremo a partecipare.

Il testo presentato è un estratto del manuale ''So far, so close. Pratiche di vicinanza infra-pandemiche'', redatto in occasione del Festival So far, so close dal team di Open Design School.

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