Metodo di indagine e di progetto

So Close. Sperimentare sul campo

L’attività di ricerca ha indagato sull’impatto della pandemia sulla realizzazione di spettacoli dal vivo, in particolare in spazi inusuali, residuali, luoghi in abbandono, spazi con funzioni diverse dallo spettacolo, dal teatro e dalla danza. 

Il palinsesto del Festival So Far So Close. Esercizi di vicinanza è stato ambito di sperimentazione e di monitoraggio, attraverso cui mettere in evidenza le relazioni variabili tra spazio ed evento, così come quelle tra gli spazi, le norme e i corpi (singoli e collettivi). Come ricordava Bernard Tschumi “Gli spazi sono qualificati dalle azioni proprio come le azioni sono qualificate dagli spazi. Uno non attiva l'altro; esistono indipendentemente. Solo quando si intersecano si influenzano a vicenda. [...] Evento e spazio non si fondono ma si influenzano a vicenda. Allo stesso modo, se la Cappella Sistina fosse utilizzata per eventi di volteggio con l'asta, l'architettura smetterebbe di cedere alle sue consuete buone intenzioni. Per un pò la trasgressione sarebbe stata reale e onnipotente. Eppure la trasgressione delle aspettative culturali viene presto accettata. Proprio come i violenti collage surrealisti ispirano la retorica pubblicitaria, la regola infranta è integrata nella vita di tutti i giorni, sia attraverso motivazioni simboliche che tecnologiche.”

In considerazione delle disposizioni introdotte per limitare il contagio da Covid-19, sono stati valutati due aspetti fondamentali: il progetto degli allestimenti degli spazi destinati al pubblico e la gestione dei flussi degli spettatori.

La sperimentazione sul campo è stata condotta attraverso l’uso di una serie eterogenea di strumenti, sia fisici che digitali, che sono risultati essere utili e complementari tra loro per progettare un festival itinerante di eventi dal vivo secondo una visione integrata. 

L’analisi congiunta degli spazi e del protocollo anti-Covid19 ha evidenziato la necessità di progettare elementi in grado di creare nuove soglie, attraverso cui verificare le dinamiche di movimento e di attenzione del pubblico. 

Gli strumenti e gli elementi allestitivi introdotti costituiscono dei dispositivi di consapevolezza per cittadini, progettisti, spettatori ed artisti al fine di contribuire in maniera collettiva alla progettazione di un’esperienza di fruizione di uno spettacolo dal vivo che non veda indebolita, ma, semmai, rafforzata, la propria qualità. 

Obiettivi della ricerca

Uno degli obiettivi del presente lavoro sul campo non è la realizzazione dell’allestimento in sé, bensì quello di investigare, attraverso il progetto, due questioni: 

* le potenzialità inespresse di alcuni luoghi poco o mai utilizzati come scenari per atti performativi contemporanei;

* le attitudini comportamentali del pubblico prima, durante e dopo gli spettacoli dal vivo in tempi infra-pandemici. 

Tra gli effetti più evidenti della pandemia troviamo sicuramente l’introduzione del distanziamento personale: attraverso il Festival si è inteso il distanziamento non come intralcio bensì come un’opportunità di sperimentazione per ricostruire un senso di fiducia collettiva.

Tra le finalità vi è, dunque, quella di trasformare il divieto in un nuova possibilità, dando una forma al protocollo normativo anti-contagio e trasformandolo in una sequenza di gesti e in un “rituale” 

collettivo consapevole. Inoltre, l’introduzione di tale protocollo ha reso più urgente la necessità di ripensare e riprogettare la segnaletica informativa utilizzata solitamente per le attività culturali, che spesso consiste nella segnaletica per la sicurezza stradale o nella cartellonistica usata nei cantieri edili. 

Il carattere prescrittivo ed impositivo sia dei dispositivi che della segnaletica di sicurezza anti-Covid si è dimostrato essere inadeguato o scarsamente efficace: per questo la ricerca si prefigge di reinterpretare e riformulare, sotto il profilo estetico, la suddetta segnaletica e/o cartellonistica standard, adottando un linguaggio empatico ed accogliente. 

Infine, le peculiarità, in termini di morfologia ed accessibilità dei luoghi, e la specificità degli atti performativi hanno indotto a sviluppare, con maggiore consapevolezza ed accortezza, soluzioni progettuali coerenti con i principi del design for all.

Articolazione della ricerca

Gli studi sono stati condotti attraverso sopralluoghi e rilievi sul campo, elaborazioni grafiche, reportage fotografici, fotoinserimenti e prototipi fisici, confronto con gli artisti, insieme alla raccolta di informazioni e feedback da parte del pubblico, avvenuta sia presso i luoghi degli spettacoli, attraverso interviste individuali post-evento, sia durante le Open Review o ancora mediante questionari di monitoraggio in itinere. Le open review fanno parte dei rituali partecipativi di Open Design School: sono momenti di approfondimento settimanali, aperti a chiunque voglia partecipare e contribuire alla ricerca, in cui il team di lavoro presenta e racconta gli stati di avanzamento del processo di ideazione e di progettazione, aprendosi all’ascolto e al confronto con i cittadini partecipanti e con gli esperti di volta in volta invitati, di cui si raccolgono istanze e feedback che vengono poi inserite nel processo progettuale.

Un ulteriore aspetto rilevante del processo progettuale è costituito dall’osservazione diretta e dalle rilevazioni in situ effettuate durante i sopralluoghi: tale esperienza è stata fondamentale per identificare le aree delle performance e gli spazi ad esse connesse, consentendo di gestire in maniera più agevole anche i cambiamenti imprevisti nell’uso dello spazio. 

La sintesi tra le peculiarità dei luoghi e le specificità degli atti performativi ha consentito di individuare i seguenti temi di indagine: distanza/prossimità, accoglienza, partiture spaziali e allestimenti.

Distanza/prossimità

Come ha ricordato Cristina Ventrucci, una delle collaboratrici artistiche del festival, il distanziamento è un’attività connaturata alle pratiche del teatro, soprattutto quelle effettuate nei primi laboratori teatrali ad inizio carriera durante i quali gli attori prendono posizione all’interno dello spazio scenico e cercano una equa distanza tra essi.

La distanza o prossimità può essere intesa da un punto di vista fisico, spaziale, contingente, ma anche come una prossimità di tipo emotivo, empatico, simbolico-metaforico. Per tenere insieme questi due aspetti, si è optato per un approccio alla misurazione di tipo “antropometrico” che rimanda, quindi, al corpo umano e alle sue proporzioni.

All’interno del DPCM del 7 agosto 2020 l’espressione “1 metro” indicante la distanza interpersonale è riportata ben 174 volte! Ciò ha indotto ad una riflessione critica sul tema del distanziamento. In accordo con l’invito dell’OMS a preferire l’utilizzo del termine “distanziamento personale” anziché “distanziamento sociale”, si è deciso di evidenziare le potenzialità offerte dal mantenimento di una distanza interpersonale che favorisse i comportamenti collettivi corretti e responsabili e trasformasse un evento dal vivo in una rinnovata occasione per migliorare i legami sociali. In particolare, due riferimenti sono stati utili allo sviluppo di questo aspetto: “Misurazioni”, di Mario Cresci, e “Friction Atlas”, di Giuditta Vendrame e Paolo Patelli. 

Il volume “Misurazioni” di Mario Cresci racchiude un’indagine condotta in Basilicata tra il 1967 e il 1974 e cita: «“Misurazioni” è il senso, il modo di condurre e vivere un lavoro sul campo in un ambito ben preciso e ricco di implicazioni ed è nello stesso momento l’occasione per l’analisi di un comportamento riferito esplicitamente sia al mezzo fotografico che alla realtà sociale»

Cresci analizza una serie di oggetti - a partire dalle cave e dai segni delle escavazioni alle sculture intagliate nel legno - gesti elementi di una cultura che diventano testimonianza del rapporto uomo ambiente. In questo lavoro “misurare” diventa un atto progettuale.

Friction Atlas, letteralmente “Atlante degli Attriti”, è un progetto che mira a rendere esplicite le normative, attraverso segni e pattern grafici realizzati sulle pavimentazioni. Attraverso il coinvolgimento del pubblico, le dinamiche stabilite dalle norme e dalle autorità diventano percepibili e distinguibili sia visivamente sia fisicamente. I diagrammi realizzati in città come Lubiana, Atene, Melbourne, Il Cairo, Washington, Roma, Kiev inducono a riflettere in maniera ludica sul rapporto tra corpo e norma e su come i movimenti del corpo siano regolati all’interno dello spazio.

Tale riferimento, in connessione con la presenza nel palinsesto dello spettacolo di teatro infantile “La terra dei lombrichi”, ha indotto ad una reinterpretazione formale in chiave ludica del logo del Festival attraverso la ripetizione di forme geometriche semplici (già utilizzate in altri casi per la segnaletica), che definiscono una segnaletica orizzontale complementare a quella verticale già sviluppata. 

Il sistema è stato pensato per un'applicazione nello spazio di avvicinamento a Masseria Radogna, location de “La terra dei lombrichi”, per permettere ad un pubblico prevalentemente infantile di apprezzare visivamente e misurare col corpo la distanza di un metro, più volte indicata dal DPCM in modo ossessivo. Il segno non è inteso come un elemento di separazione ma come una sequenza di avvicinamento che interroga, incuriosisce e conduce allo spazio dedicato all’atto performativo.

Accoglienza

Quale forma e quali ritmi dare all’attesa prima di partecipare ad un evento? Alla base del Festival e degli atti performativi vi è una ricerca sul gesto. Di conseguenza, parte del lavoro è stato finalizzato a reinterpretare la norma e il divieto trasformandoli in occasioni, nuove possibilità, attraverso l’uso di gesti di accompagnamento e di accoglienza del pubblico. È stato scelto di direzionare i flussi attraverso la definizione di un dizionario visivo di gesti corporei, a partire dalle mani fino a sviluppare una segnaletica antropomorfa.

Così, una segnaletica più “umanizzata”, rappresentata da fotografie di parti del corpo a visualizzare gesti o distanze, ha sostituito la tradizionale segnaletica di sicurezza utilizzata tanto per gli eventi quanto per i cantieri edili.

In coerenza con le linee guida dell’identità visiva del Festival, progettata dall’agenzia di comunicazione Diòtima, la progettazione dei supporti grafici ha mantenuto l’utilizzo del dettaglio fotografico e della retinatura delle immagini. 

Inoltre, per arricchire la fase di accoglienza del pubblico, sono state evidenziate le linee curatoriali del festival e alcune riflessioni degli artisti invitati, attraverso estratti e citazioni testuali disposti negli spazi di attesa - zone filtro - prima dello spettacolo.

Partiture spaziali 

Il rispetto del protocollo anti-contagio, dal distanziamento, alle attività preliminari, alla fruizione degli spettacoli, ha portato all’individuazione di una serie di “zone filtro” declinate secondo le caratteristiche morfologiche e la tipologia dei luoghi scelti per le performance. 

Questi intermezzi spaziali si configurano come aree di attesa e di decompressione attraverso cui organizzare l’accoglienza e il deflusso del pubblico, ma, soprattutto, sono spazi dedicati ai nuovi rituali infra-pandemici: così come nella Genkan giapponese è obbligatorio togliersi scarpe e giacca prima di entrare in casa o in un luogo pubblico, nelle zone filtro si effettuano in particolare il controllo della temperatura e l'igienizzazione delle mani. Queste aree sono state infatti configurate con l’obiettivo di diradare e distanziare le persone in entrata e uscita dagli spettacoli, non creare assembramenti in occasione dell’espletamento delle attività di controllo, separando queste ultime in modo da non essere concentrate in un solo luogo, e dislocando gli operatori preposti in punti precisi lungo l’area.

Tali aree hanno costituito l’ambito di sperimentazione preferenziale per l’applicazione di elementi volti a creare percorsi non lineari di avvicinamento al luogo della performance, con l’intento da un lato di rallentare e ridurre il flusso degli spettatori per non creare assembramenti, dall’altro con lo scopo di creare momenti di riflessione sui temi e sui concetti cardine trattati dagli artisti coinvolti e dal gruppo di lavoro, attribuendo agli spazi di servizio e di attraversamento un valore estetico ed informativo. Infine, la progettazione delle zone filtro amplia e offre maggiori garanzie a tutela della salute e della sicurezza dei partecipanti agli spettacoli, nonché di tecnici e operatori, a riprova che “lo spettacolo dal vivo è un luogo sicuro” ● pag. 92

La presenza delle zone filtro ha consentito di intervenire sullo spazio pubblico senza interferire con lo spazio scenico e con le scelte artistiche e stilistiche dei vari artisti, al fine di evitare anche la possibile ridondanza e sovrapposizione di linguaggi diversi. In alcuni casi (vedi ad esempio la performance Trigger di Annamaria Ajmone nel Parco Nazionale del Pollino), tali zone hanno avuto anche il compito di preservare lo spazio scenico da eventuali fattori di disturbo legati alla presenza di attività commerciali o dal traffico pedonale e veicolare nei pressi della performance. Si tratta di criticità presenti nella maggior parte delle location in considerazione della natura ibrida degli spazi scelti per gli spettacoli, ad eccezione della sola location di Cava del Sole.

Si è voluto, per esempio, dividere il flusso in due parti (vedi scheda “I messaggeri” di Emma Dante ● pag. 152) posizionando centralmente una fila di tavolini provvisti di liquido igienizzante e creando lateralmente una schermatura di pannelli contenenti estratti e citazioni degli artisti oltre che il programma e l’identità visiva del Festival. Analogamente, sono stati realizzati percorsi a serpentone attraverso l’ausilio di transenne, utili all’accesso alle navette a Piazza Matteotti ● pag. 142.

Le sperimentazioni hanno quindi riguardato elementi e strumenti differenti per tipologia, materiale e caratteristiche d’uso (per maggiori dettagli si rimanda alle schede evento e agli approfondimenti riguardanti le strutture, i visual e la segnaletica orizzontale, ● da pag. 134), comprendendo sia elementi studiati ad hoc che strutture già a disposizione di Open Design School al fine di garantire e portare avanti una strategia incentrata sul riuso e la circolarità dei sistemi costruttivi e tecnologici.

Le zone filtro non hanno dimensioni prestabilite e vengono adattate di volta in volta alle caratteristiche paesaggistiche e morfologiche del luogo (per la maggioranza dei casi si tratta di aree all’aperto). 

In particolare, possono assumere configurazioni prettamente lineari, come nei casi di Cava del Sole, Masseria Radogna o San Severino Lucano, o “a soglia”, come avvenuto a Venosa, a Casino Padula e in Piazza Monte Grappa a La Martella, o ancora "circolari", come nel caso di Montescaglioso, dove la zona filtro è servita per gestire i flussi in arrivo da diverse vie del paese. 

È possibile notare come le aree di accesso e di accoglienza del pubblico corrispondano a spazi “neutri” e flessibili, a volte privi di una specificità funzionale, usati di norma per attività di servizio o come semplici luoghi di attraversamento (basti pensare all’area di parcheggio dell’Abbazia di Montescaglioso o al prato annesso alle Terme Lucane di Latronico). Un discorso analogo è applicabile agli spazi destinati agli atti performativi veri e propri, scelti in luoghi aventi normalmente destinazione d’uso di servizio, privilegiando così una lettura aperta all’uso dei luoghi dove i confini diventano effimeri, intangibili, e lo spazio scenico termina là dove si trova l’ultimo spettatore. 

Questo tipo di metodologia, ereditato dall’esperienza di Matera Capitale Europea della Cultura 2019 in virtù della carenza sul territorio di teatri e altri contenitori culturali atti ad ospitare spettacoli dal vivo, permette da un lato di prolungare per il periodo autunnale gli spettacoli in luoghi coperti ma che consentono una buona ventilazione al riparo dalle intemperie, dall’altro presenta alcune complessità legate alle autorizzazioni previste per i cambi di destinazione d’uso e la predisposizione degli opportuni piani di sicurezza.

Allestimenti

La diffusione della pandemia ha acclarato il potenziale della progettazione aperta, che è il principio su cui si basa l’Open Design School. Anche nel caso di So Far So Close si è fatto ricorso al modello “OpenStructures”, basato su una griglia geometrica condivisa. Sono stati scelti profili metallici modulari, caratterizzati dalla versatilità di utilizzo e dalla facilità di assemblaggio a secco, che crea un sistema sempre reversibile. Si è così realizzato un kit di espositori leggeri e mobili, basati su una matrice modulare. Tali elementi sono: 

* una struttura direzionale; 

* un totem normativa mobile;

* un totem di igienizzazione mobile;

* modulo contenitore;

* frame.

Alcune performance hanno avuto luogo in contesti paesaggistici di pregio come Bosco Magnano a San Severino Lucano e il Comprensorio Ecologico Termale di Latronico, entrambi nel Parco Nazionale del Pollino. In questi casi è stato scelto di intervenire utilizzando materiali naturali come i Cubi ODS, strutture modulari in legno utilizzate, in questo caso, come sedute.

A cura del Team di Open Design School

IMG_3533.jpg  Open Review presso Casino Padula, sede di Open Design School

IMG_3749.JPG Giostra di Carsten Höller, Latronico. Sopralluogo per lo spettacolo Trigger, di Annamaria Ajmone

IMG_3283.JPG Cava del Sole, Matera. Sopralluogo per lo spettacolo
I messaggeri, di Emma Dante e i Fratelli Mancuso.

IMG_3999.jpg Teatro Quaroni, Borgo La Martella, Matera.
Open Review con Chiara Guidi e Vito Matera

Metodo di indagine e di progetto è un estratto del manuale ''So far, so close. Pratiche di vicinanza infra-pandemiche'', redatto in occasione del Festival So far, so close dal team di Open Design School.

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