I dati e l’umanesimo digitale ai tempi del Coronavirus
Stiamo vivendo un periodo sospeso tra diritti, informazioni, reazioni, leggi. Un periodo sospeso tra la vita e la morte, tra la paura e la voglia di reazione. Ma siamo veramente consapevoli di cosa sta succedendo? Spesso in un Paese dove l’analfabetismo funzionale ci vede agli ultimi posti nel mondo, non ci rendiamo conto della differenza tra i numeri e di quanto le fake news si possano fondere tra loro distorcendo la realtà a favore di una percezione che ci vede contrapposti tra negazionisti e supini sudditi. Si perché la mancanza di pensiero critico e competenze digitali, rende un cittadino privo della propria capacità di analisi e, se vogliamo, privo anche della propria capacità etica di capire il vero e il finto, ergo poter scegliere consapevolmente tra il “giusto” e “l’errore”. Si chiama Cittadinanza Digitale. È il cuore del terzo millennio alla base della Democrazia. Essere oggi ignoranti, nel senso etimologico del termine, ci rende sudditi. Non ci sono vie di mezzo. Mi permetto di fare alcune riflessioni sui dati del Covid 19 per permettere una riflessione che poi possa sfociare in argomenti, di conseguenza, che esulano gli aspetti prettamente tecnici ma ci permettano di avere un quadro più preciso sui cui ragionare. Il Coronavirus ha messo in evidenza tante falle della civiltà moderna. Non solo in Italia. L’incapacità di coordinarsi, l’incapacità di capire quali “dati” ci sono e quali da costruire a valle di processi di raccolta, non ci hanno permesso di avere un quadro chiaro.
Partiamo da alcuni punti fermi, almeno per l’Italia:
* La Presidenza del Consiglio dei Ministri nel suo Dipartimento della Protezione Civile, pubblica ogni giorno un insieme di dati (aperti) che sono una miniera di informazioni
* La raccolta di tali dati all’inizio non è stata coerente e coordinata ma oggi è abbastanza efficiente e sostanzialmente rispecchia lo stato della realtà
* La comunicazione demandata ai famosi incontri alle 18 in cui venivano elencati numeri progressivi, non ha aiutato la popolazione a farsi un’idea compiuta. Solo gli addetti ai lavori hanno potuto analizzare i dati e prendere decisioni in merito (almeno si spera)
La capacità di prendere decisioni sui dati, cosiddetta Data Driven, è una competenza che viene richiesta agli amministratori a tutti i livelli. È il cuore di quello che viene chiamato OpenGovernment.
È un concetto politico di alto profilo. Non è la sede per analizzare ogni pilastro di questo manifesto, mi soffermo però nella produzione dei dati (istituzionali) aperti. Tali dati andrebbero forniti PRIMA di ogni incontro partecipato, di ogni azione di rigenerazione urbana, ogni analisi sulle politiche culturali o di smart city, oltre che sociali e sui trasporti. Torniamo al Covid. I dati rilasciati, insieme a quelli dell’ISTAT e di altre banche dati nazionali e internazionali, ci permettono di riusarli e mostrarli in un modo più comprensibile. Anche questa è una competenza trasversale. Come mostrare i dati rientra in capacità estetiche, di marketing etc. Non a caso i più grandi OpenData Journalist hanno spessissimo lauree umanistiche o sono architetti e designers. Ma cosa è veramente importante leggere in una tabella come questa rilasciata dalla Protezione Civile? ● Fig. 1
Ci sono tanti parametri che possono essere utili. Innanzitutto non vanno mai prese “fotografie” ma “fotogrammi” cioè andamenti nel tempo.
Dire che oggi ci sono 16000 casi non ha molto senso se non li paragono nel tempo oppure se non li contestualizzo rispetto ad un territorio.
1000 casi a Matera non sono come 1000 casi a Milano. Se devo fare un evento dal vivo con 100 invitati in una zona con un tasso di contagio molto alta (cioè il rapporto tra tamponi e casi positivi) è molto diverso che farlo in uno dei 19 comuni del Salento dove ad oggi non c’è stato neanche un caso di positività da febbraio. Che ci insegna questo semplice esempio? Che bisognerebbe prendere decisioni a seconda dei luoghi e delle condizioni e non prendendo come assoluti ed omogenei i dati territoriali. Un aspetto importantissimo da osservare è l’occupazione delle terapie Intensive rispetto ai posti letto disponibili (occupazione massima in dotazione delle strutture sanitarie). ● Fig. 2
È inevitabile che un cittadino del Molise “percepisca” in maniera molto differente l’ansia della pandemia rispetto un suo connazionale dell’Umbria o del Piemonte. In pieno picco a marzo-aprile c’erano regioni con oltre il 100% della capienza massima. Questo ha portato a morti indirette: il 30 marzo in Lombardia 3 deceduti su 4 per qualsiasi motivazione (incidente, ictus, arresti cardiaci etc) non hanno potuto avere accesso negli ospedali. Sono morti a casa. Questo è l’effetto più devastante del Coronavirus. Anche qui ci sono state tantissime differenze che hanno impattato sul “senso” della realtà. In provincia di Matera al 30 Marzo 2020 si sono registrati più o meno gli stessi decessi dello stesso trimestre del 2019. A Bergamo invece si sono avuti 6000 decessi contro i 1200 tradizionali per lo stesso periodo. Con un termine forte potremmo dire che quasi metà dell’Italia ha visto la pandemia tramite i telegiornali. ● Fig. 3
Gli epidemiologi ci dicono sempre una cosa: guardate ai deceduti non ai tamponi. ● Fig. 4
Questa infografica ci indica che per ogni persona deceduta in Calabria in una cittadina di 20.000 abitanti, ce ne sono 34 deceduti in analoga cittadina in Lombardia. 34 volte di più. Forse, potremmo affermare con ragionevole certezza che il lockdown generalizzato ha ucciso l’economia ma ha salvato decine di migliaia di persone. Ma c’è bisogno di chiudere per forza tutta l’Italia o esistono soluzioni intermedie? La scienza e soprattutto l’esperienza clinica che tutti ci stiamo facendo in questo momento sospeso, ci ha indicato che possiamo convivere. La difficoltà è trovare modelli che ci permettano di capire cosa possiamo fare e cose non possiamo fare. A parte le raccomandazioni sulla mascherina, sul lavaggio delle mani, sulla distanza fisica (che tanto fa male a noi che ci abbracciamo in continuazione) e sulla contestata app Immuni, cosa possiamo fare?
Innanzitutto osservare le velocità di riempimento delle terapie intensive rispetto ai tamponi e osservare dove ciò avviene. ● Fig. 5
Oggi abbiamo tantissimi tamponi fatti rispetto al passato, dove li facevamo solo a chi entrava in ospedale. Oggi c’è una marea di asintomatici positivi ma la crescita (in rosso) delle terapie intensive non ha lo stesso coefficiente angolare e la stessa progressione della prima ondata pandemica. Inoltre ci sono zone a bassa densità di popolazione dove la progressione è molto più rallentata. Perché ovviamente ci sono molte meno persone e quindi meno assembramenti nei posti pubblici. I trasporti in regioni come la Basilicata o la Calabria non sono paragonabili alle metrò delle grandi megalopoli (Napoli, Roma, Torino, Milano). Ricordo che il modello di contagio si basa su 5 asset: attività commerciali, tempo libero, trasporti, famiglia e scuola. Fino ai primi di settembre si è lavorato nel tenere chiuse le scuole e modulando gli altri 4 pilastri. Abbiamo retto abbastanza. 5 pilastri che generano 46 scenari possibili. Aprendo le scuole è schizzato il contagio, non tanto nelle scuole (ad oggi il 2% di contagiati) oppure dei migranti (1% scarso) ma per l’ecosistema che gira attorno alle Scuole: assembramenti fuori dagli istituti, mezzi pubblici insufficienti etc. Ora il Governo e le regioni stanno modulando proprio questi aspetti: dall’aumento dei mezzi di superficie quando possibile, allo scaglionamento orario, alla didattica a distanza almeno alternata sulle scuole secondarie, alla diminuzione delle aperture dei bar e ristoranti. Si cerca in tutti modi di evitare momenti in cui ci siano molte persone sotto il metro di distanza fisica. Nel mondo dello spettacolo e delle attività ricreative, i tassi di infezioni sono bassissimi. Ma anche qui: chi ci dice che uno spettatore di un concerto musicale poi non vada a prendersi una birra dato che è già in giro e che poi porti a casa una positività?
Questa piccola disamina, che si basa sui dati pubblici e aperti a disposizione, può essere anche approfondita con mappe etnografiche sul mio sito www.piersoft.it/covid19 che ho realizzato gratuitamente per aiutare il mio Paese. In fondo ognuno di noi è chiamato a fare qualcosa per l’altro. Le oltre 120 milioni di visualizzazioni e “riusi” del mio sito in tantissime testate giornalistiche, in dirette web di sindaci, di telegiornali, dimostrano quello che ho scritto in premessa: il cittadino vuole capire oltre i dati. Vuol farsi un’idea oggettiva. Alcuni approfondiscono altri si fermano al titolo del TG. La sfida per tutti è andare oltre.
“Che tu sappia che la superficie del Mare non è il Mare” (Silvano Agosti)
Questo documento è concesso con Lic. CC BY-SA
I dati e l’umanesimo digitale ai tempi del Coronavirus è un estratto del manuale "So far, so close. Pratiche di vicinanza infra-pandemiche", redatto in occasione del Festival "So far, so close. Esercizi di vicinanza" dal team di Open Design School.