Allenarsi all'universo

di Silvia Bottiroli e Cristina Ventrucci, collaboratrici artistiche del Festival di arti performative ''So far, so close. Esercizi di vicinanza''

Che l’universo intero sia, in relazione al mio corpo, quel che è il bastone del cieco in relazione alla sua mano. Egli non ha più, realmente, la sensibilità sua nella mano, ma sulla punta del bastone. È necessario, per questo, un allenamento.

Simone Weil

L’attenzione sui termini della prossimità è forse un dono che l’esperienza pandemica ci ha portato. Accadimento tragico collettivo, l’attacco del virus ha fatto di noi, uomini e donne del ventunesimo secolo, un coro greco che ritrova domande esistenziali, spesso sepolte sotto i templi del consumismo o dissolte nel solletico della comunicazione. 

Il primo passo che si è voluto compiere qui, con un atto furioso e folle, è il ricorso all’arte performativa come strumento privilegiato per ritrovare una misura del sentire, nello spazio tra sé e l’altro. Gli artisti della scena, e le loro incessanti ricerche, sono diventati l’orizzonte in cui rintracciare pulsioni arcaiche e istinti plurali, sono stati il corpo cui chiedere come possiamo espandere la nostra capacità di intesa.

Ripercorrendo a posteriori l’esperienza del Festival, scorgiamo un punto di crisi che si fa largo tra le parole dette e le azioni compiute, e ci chiede di sostare un momento: l’esperienza della soglia. Snodo cruciale dell’arte performativa, l’atto del varcare – spazi, mondi, linguaggi – richiede oggi la sperimentazione di misure e di tattilità aeree, e la pratica del segnare un luogo e, attraverso quel luogo, dei percorsi.

Si tratta allora di formulare grammatiche dell’accoglienza capaci di preservare la delicatezza di quel passaggio, che proteggano la possibilità di disporsi in una sorta di attesa e di abbandono, che facciano appello a un nodo di libertà e coraggio, riconoscendo lo spettatore come cittadino attivo e assumendo una responsabilità artistica nella cura dell’incontro. 

Quella soglia, l’attraversamento da un tempo a un altro e da una cosmologia a un’altra, va una volta di più intesa come custode del segreto, del lato oscuro, dell’intensità, della prossimità cui si andrà incontro. Punto d’origine di un campo di forza e baratro sul quale affacciarsi. 

Come si possono creare condizioni affinché gli spettatori facciano esperienza di quel passaggio e l’incontro con l’arte diventi occasione di allenare la propria sensibilità all’universo?

Forse, si tratta innanzitutto di affidarsi all’arte come critica radicale degli assiomi che stanno fallendo sotto i nostri occhi, possibilità di un altro modo di essere al mondo e di fare mondo. Di interrogarla, quell’arte, cercarla nelle voci e nei percorsi di artiste e artisti dalla pratica straripante – di idee, domande, dubbi. 

E si tratta poi di saper formulare – con le parole e con i gesti, con le scelte curatoriali e le pratiche di organizzazione e accoglienza – un invito all’esplorazione, all’incontro con ciò che non conosciamo, al rischio. Occorre riappropriarsi di questi termini, oggi più che mai scandalosi, e abitare quella soglia con dignità e spericolatezza, come lo spazio di un esercizio individuale e collettivo che sappia mettere sotto scacco l’impero della massa per ricominciare a scrivere la storia a partire dalle esperienze vere, operate ogni giorno nel piccolo, nel nascondimento, fuori dal clamore. 

Un esercizio che ascolti la richiesta del corpo per una vicinanza con la parola, per una parola incarnata nelle azioni, intransigente. Un esercizio di trasformazione infine, affinché l’ingresso nel luogo dell’arte e del teatro sia ciò che ci permette di fare esperienza dell’universo, perché “essere nel mondo non è uno spettacolo. Tutt’altro. È essere dentro, non di fronte” (Jean-Luc Nancy). 

Dedichiamo questa nostra avventura a Frie Leysen, creatrice di festival, figura illuminante per la scena teatrale contemporanea, che ci ha lasciati in un giorno di settembre, mentre stavamo lavorando a questo programma. Paladina del valore politico insito nell’arte performativa, ardita attraversatrice di frontiere in una messa in gioco di sé totale, Frie continua a esortarci a mantenere viva l’attenzione alla fonte destabilizzante dell’arte.

Allenarsi all'universo è un estratto del manuale ''So far, so close. Pratiche di vicinanza infra-pandemiche'', redatto in occasione del Festival So far, so close dal team di Open Design School.

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Metodo di indagine e di progetto

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